giovedì 2 giugno 2016

Cinquanta sfumature di Agile

Spesso sentiamo dire dai nostri colleghi la frase: «Noi non facciamo Agile da manuale». Non possiamo fare a meno di percepire il senso di colpa di chi parla, che si sente una specie di eccezione alla regola, alla stregua di un brutto anatroccolo.
In questo post, per agile, intendo i modelli a processo agile.
Negli anni, ho sentito questa frase così spesso, che ho cominciato a chiedermi se qualcuno facesse effettivamente Agile da manuale e, in generale, su quali basi di conoscenza si fondassero le metodologie agili.
Le discipline coinvolte in questo approfondimento sono la psicologia e la sociologia del lavoro.

Modelli a processo agile

Roger S. Pressman, nel libro Principi di Ingegneria del Software, descrive diversi modelli a processo agile:
  • Extreme Programming;
  • Sviluppo di Software Adattativo (ASD, Adaptive Software Development);
  • Dynamic Systems Development Method;
  • Scrum;
  • Crystal;
  • Feature Driven Development;
  • Agile Modeling.
Di solito, nessuno di questi approcci viene applicato alla lettera.

I metodi Agile come teorie di progettazione del lavoro

Le teorie di progettazione del lavoro sono un ambito di studio all’interno della psicologia del lavoro. Tale studio è finalizzato al raggiungimento degli obiettivi aziendali e alla riduzione dei problemi dei lavoratori.
In tale ambito di studio, nel 1976, Richard Hackman e Greg Oldham hanno proposto un modello, detto “Job characteristic theory”, secondo il quale, se il lavoratore ha delle capacità ampie e fa cose diverse, ha dei compiti assegnati unicamente a lui dei quali conosce l'importanza, può svolgerli in autonomia e conoscerne l'esito; allora il lavoratore sarà più motivato e soddisfatto, farà un lavoro di maggiore qualità e tenderà ad essere meno assente ed a dimettersi di meno.
Analizziamo punto per punto quello che la Job characteristic theory dice dell’Agile:
  • varietà delle abilità: questa caratteristica viene migliorata con l'agile e con il principio secondo il quale tutti devono essere in grado di fare tutto;
  • identificazione con i compiti: dipende dai responsabili, in alcuni casi è possibile con l'agile, in altri no;
  • conoscenza del significato dei compiti: il principio della comunicazione stretta e del coinvolgimento del cliente favoriscono questa conoscenza;
  • retroazione: avere dei cicli di sviluppo di breve durata permette di sapere come stanno andando le cose, quali funzionano e quali no.
Quindi, se si opera anche per garantire l'identificazione tra il lavoratore ed il compito, cosa su cui l'agile non si pronuncia, l'agile favorisce la motivazione dei lavoratori.

Il profitto a breve termine e il primum vivere

Primum vivere deinde philosophari è una frase latina che significa letteralmente prima vivere, poi filosofare. Incoraggia quindi un approccio utilitarista alla vita.
Sul profitto a breve termine e sul primum vivere si è espresso Francesco Novara (psicologo del lavoro presso Olivetti) dicendo che se un lavoratore è precario e sa che la sua permanenza nell’azienda sarà di tre mesi, farà onestamente il compito assegnatogli, ma non svilupperà le conoscenze necessarie al miglioramento del suo lavoro.
La ricerca del profitto a breve termine è contraria all’investimento, che non è solo di tipo economico, l’investimento è anche di tipo psicologico, ad esempio l’energia che un programmatore potrebbe investire per approfondire le proprie conoscenze di un determinato ambito.

La funzione psicologica del lavoro

Stiamo passando da delle modalità lavorative nelle quali l’iniziativa soggettiva non trovava nessuno spazio; a dei contesti nei quali questa iniziativa è necessaria ogni giorno. Ai lavoratori viene richiesta questa attivazione per conciliare quello che non è conciliabile: regolarità, velocità, qualità, sicurezza. Questi conflitti, tra criteri ed obiettivi che non possono essere realizzati simultaneamente, vengono interiorizzati e comportano nuove dissociazioni, che possono portare alla schizofrenia.
La schizofrenia è quando una persona non riesce più a percepire la differenza tra sé ed il mondo esterno e confonde i propri eventi mentali con quelli del mondo esterno.
Si ha quindi una attività lavorativa nella quale i lavoratori sono chiamati ad assumersi le proprie responsabilità, senza avere il potere di agire.

L’utilitarismo

L’utilitarismo nasce in Inghilterra a seguito del positivismo francese. Mentre il positivismo francese promuoveva l’emancipazione dei popoli, l’utilitarismo propone di andare verso il massimo piacere possibile per tutti e tende ad identificare le azioni utili con quelle azioni che aumentano il piacere del maggior numero di persone. L’obiettivo utilitario viene spesso identificato con il massimo prodotto generato.
Gli approcci Agile sono di tipo utilitario, perché da molta importanza al prodotto finale ed ai desideri del cliente, infatti all’inizio del Manifesto Agile, c’è scritto:
La nostra massima priorità è soddisfare il cliente rilasciando software di valore, fin da subito e in maniera continua.

Il paradosso di Easterlin

Il paradosso afferma che non esiste una correlazione significativa e robusta tra reddito e felicità soggettiva. Ecco la spiegazione del paradosso:
La principale spiegazione economica al «paradosso della felicità» è stata avanzata dall’economista americano Robert Frank e dall’inglese Richard Layard, i quali si soffermano sui meccanismi di competizione e di rivalità. Queste teorie affermano che il benessere che traggo dal mio reddito o consumo dipende soprattutto dal confronto tra il mio reddito e quello degli altri con cui mi confronto o competo. Il benessere che mi deriva dall’acquistare un’auto nuova, ad esempio, può essere inferiore se vedo il mio vicino acquistarne una più bella e più grande. Il «consumo vistoso» può generare una sorta di competizione posizionale, nella quale si è sempre impegnati a superare gli altri, o quantomeno a stare al loro passo. La competizione posizionale spiegherebbe perché all’aumentare del reddito la felicità non aumenta di pari passo: se insieme al mio reddito aumenta anche il reddito del vicino, allora sono punto e a capo.
Riassumendo: l’Agile si giustifica all’interno di un approccio utilitarista, ma l’utilitarismo stesso non è in grado di garantire la felicità agli individui. Quindi l’Agile non è in grado di garantire la felicità degli individui.

Teorie sposate e teorie usate

Le parole che usiamo per indicare quello che noi facciamo, o meglio, vogliamo far credere agli altri che facciamo, è la teoria sposata.
Quando viene chiesto a qualcuno come si comporterebbe in una certa circostanza, la risposta che viene data di solito è la sua teoria d’azione sposata per quella situazione. Questa è la teoria d’azione che crea obbedienza e che, su richiesta, viene comunicata agli altri. Comunque, la teoria che governa le sue vere azioni è la teoria in uso. (Argyris e Schön 1974: 6-7)
Fare questa distinzione ci permette di porci delle domande su quanto ogni comportamento corrisponda alla teoria sposata; e se le emozioni interne vengano espresse mediante le azioni. In altre parole, c’è congruenza tra le due?
Il libro “Inner Contradictions of Rigorous Research” di Argyris cerca di aumentare la congruenza tra le teorie in uso e le teorie sposate. Ad esempio, spiegare le nostre azioni ad un collega può far emergere una parte di teoria conveniente. Ad esempio, possiamo spiegare la nostra uscita improvvisa dall’ufficio dicendo che c’è stato un problema legato ad un cliente, mentre nella teoria in uso, il vero motivo per il quale siamo usciti dall’ufficio era che eravamo annoiati dalla burocrazia o dalla riunione e che una uscita da questa situazione avrebbe giovato.
Sembra che l’Agile sia una teoria sposata, mentre in realtà, le stesse persone che promuovono l’Agile, ragionano in un approccio a cascata.

I lavoratori inadeguati e fragili

Yves Clot, psicologo al Conservatoire des art et métiers di Parigi, dichiara:
Non sono i lavoratori a essere troppo “inadeguati”, fragili, da “curare”. È il lavoro e il modo in cui è organizzato che vanno curati. Un modo gretto, meschino che spinge un numero sempre crescente di colletti bianchi a sopportare un lavoro ni fait ni à faire. Molta capacità, molta voglia d'impegnarsi viene dispersa, le risorse psicologiche e sociali dei salariati vengono buttate via, le loro energie perdute all'interno di un'organizzazione che non sa cosa farsene.
Questo esempio mostra nuovamente come, spesso, le colpe dell’organizzazione vengano scaricate sui dipendenti, creando un contesto nel quale risulta difficile innovare e sperimentare nuovi metodi. Quindi, per permettere il miglioramento continuo, è necessario contrastare queste tendenze negative.

Primo Levi e la spasmodica corsa alla competitività

Riporto un brano estratto da “Etica della cura. Riflessioni e testimonianze su nuove prospettive di relazione” di Virginio Colmegna:
In questa situazione la medicina riproduce i rapporti di produzione del lavoro industriale in cui Marx vedeva il pericolo dell'alienazione dell’uomo.
Nel suo libro Souffrance en France lo psicologo del lavoro Christophe Dejours traccia un quadro della pressione esercitata oggi sui rapporti nel mondo del lavoro in nome di quella spasmodica corsa alla competitività che l'economia neoliberista ha fatto prevalere come legge universale delle relazioni umane.
Gli individui vengono indotti a spezzare ogni legame cooperativo fra di loro, riproducendo quella stessa «banalità del male» che Hannah Arendt riconobbe e descrisse all'opera nella terribile macchina dello sterminio nazista. I carnefici dei fratelli non sono mostri o pervertiti patologici, ma sono in tutto e per tutto «brave persone», a volte addirittura i migliori. Essi vengono però addestrati a sopire ogni reazione alla vista della sofferenza altrui, spesso aiutati da richiami a forti odori, se non più etici e altisonanti (la purezza della razza) almeno di tipo aziendale. E sono inoltre continuamente sospinti da un lato dalla paura di perdere la propria posizione, economica e sociale, dall'altra di non mostrare il coraggio richiesto qualora non fossero abbastanza pronti a realizzare quella selezione naturale, che trova un appoggio teorico nell'adattamento della teoria darwiniana, e che Primo Levi, uno dei pochi rimasti a raccontarla, descrive come il meccanismo di Selektja che continuamente veniva operata nei campi di sterminio.
Con sommo sconforto Dejours osserva che l'odierna banalità del male pervade ormai tutto l’ambiente lavorativo, e che timi vengono resi abbastanza adatti a essere di volta in volta carnefici implacabili e poi vittime rassegnate.
Questa situazione è esattamente il contrario di quanto è necessario per creare un ambiente lavorativo sereno.

Conclusioni

Le difficoltà nell’implementazione delle metodologie agili spesso derivano dalle dinamiche psicologiche e sociologiche delle organizzazioni. Una rimozione completa della mentalità dell’azienda risulta essere impossibile, quindi è cruciale cercare un compromesso tra l’organizzazione precedente e quella verso la quale si cerca di andare.

Bibliografia

  • I principi sottostanti al Manifesto Agile
  • Yves Clot, “La funzione psicologica del lavoro”
  • Dominique Méda “Società senza lavoro. Per una nuova filosofia dell'occupazione”
  • Argentero, Cortese, Piccardo, “Psicologia del lavoro”
  • Argyris, C., Schön, D.A. 1974. “Theory in Practice: Increasing Professional Effectiveness.” San Francisco: Jossey-Bass.
  • Christophe Dejours, “L’ingranaggio siamo noi”, Mannucci Editore, 2000

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